di Giancarlo Pavat
Sabato 21 aprile 2012, nella sala
della Biblioteca Comunale “L. Ceci” di Alatri, in provincia di Frosinone, è
stata presentata la conclusione dei restauri dell’enigmatico affresco del
“Cristo nel Labirinto” che si trova in un cunicolo del Chiostro di San
Francesco, adiacente all’omonima chiesa
Erano presenti il sindaco
Giuseppe Morini, il consigliere con delega alla Cultura Carlo Fantini, il
senatore della Repubblica Oreste Tofani, la dottoressa Graziella Frezza, responsabile di zona della Soprintendenza ai Beni Storici, Artistici ed
Etnoantropologici che ha curato il restauro, i restauratori Sergio Salvati ed
Antonella Docci di Roma, e molti dei ricercatori e studiosi che nel corso degli
anni si sono occupati del misterioso affresco.
Dopo i saluti di rito, il
consigliere comunale alatrense con delega alla Cultura, Fantini, ha voluto
ricordare l’impegno dell’assessore suo predecessore, Giulio Rossi, ma ha citato
pure i nomi dei tre scopritori dell’affresco nel lontano 1996, Ennio Orgiti,
Paride Quadrozzi ed Orestino Fanfarillo e, soprattutto, ha avuto parole di
ringraziamento per il sottoscritto.
Sin dal 2006 mi sto infatti occupando
di ricerche relative all’affresco con il “Cristo nel Labirinto”, che hanno
portato ad alcune significative scoperte, tra cui l’identità del percorso del labirinto
di Alatri con quello del famosissimo labirinto che decora il pavimento della
navata centrale della cattedrale di Chartres in Francia e a quelli di almeno
altri cinque labirinti: Santa Maria in Aquiro a Roma (ormai scomparso), Lucca,
Pontremoli, Pavia (tutti in Italia) e Grinstad, nella Svezia sud-occidentale.
Questa mia scoperta ha dato il
via all’attenzione ed all’interesse, sia in Italia che in Europa, per il
labirinto alatrense ed ha contribuito, come ricordato dalla dottoressa Frezza,
a far ottenere dal Governo Italiano il finanziamento di 100.000 euro per il
restauro.
In questo modo si è ottenuto il
salvataggio di un affresco unico al mondo, che versava in cattive condizioni e
rischiava di sparire per sempre.
Durante la presentazione dei
lavori di restauro, anche la dottoressa Frezza mi ha ringraziato per quanto ho fatto
per l’affresco, dandomi anche il merito della grande risonanza mediatica e
dell’opera di divulgazione portata avanti circa il “Cristo nel Labirinto”.
La dottoressa Frezza ha quindi illustrato
le varie fasi del restauro, le procedure adottate e l’opera di sistemazione del
cunicolo in cui si trova l’opera d’arte, catturando letteralmente l’interesse
del pubblico, laddove ha spiegato come, grazie ai restauri, sono stati risolti
alcuni degli enigmi legati all’affresco. Enigmi sui quali, come si
ricorderà, si è scritto di tutto ed il contrario di tutto, generando una serie
di tesi e millantate scoperte che hanno certamente nuociuto alla ricerca della
verità.
Desidero, in questa sede, riepilogare alcuni degli elementi illustrati dalla dottoressa Frezza, anche e soprattutto per fare il punto dello stato dell’arte delle ricerche sul “Cristo nel Labirinto”. Vediamo, per prima cosa, le conferme emerse dai restauri.
Sono state avvalorate, senza
ombra di dubbio, alcune mie scoperte; il labirinto è unicursale, è formato da
12 circonferenze nere e 12 bianche (compreso il cerchio centrale dove si trova
la figura di Cristo) ed il percorso è indiscutibilmente identico a quello del
labirinto di Chartres.
Il Cristo è barbuto, con una
croce rossa inserita nell’aureola, e questo stronca definitivamente la tesi avanzata da alcuni ricercatori, secondo i quali si tratterebbe del Padreterno o
di qualche profeta del Vecchio Testamento. Iconograficamente parlando, la
presenza della croce nell’aureola indica sempre e soltanto che il personaggio
ritratto è Gesù Cristo. La sua tunica è bianca e il mantello d’oro. Sia la figura di Cristo che il
labirinto sono stati realizzati contemporaneamente e, molto probabilmente, da
un solo artefice.
I restauratori, il dottor Salvati
e la dottoressa Docci, hanno pure illustrato alcuni nuovi particolari e
decorazioni simboliche scoperte durante i lavori, in particolar modo nel terzo
ambiente del cunicolo (ora il primo a cui si accede dal nuovo comodo ingresso).
Un mondo inaspettato si è aperto agli occhi dei restauratori e, adesso, anche a
tutti coloro che si affacceranno al chiostro di San Francesco. Sotto centimetri
e centimetri di sporcizia, accumulatasi nel corso dei secoli, attendevano
pazientemente intere pareti ricoperte da pitture raffiguranti tralci vegetali,
coloratissime circonferenze, altri “Fiori della Vita” ed altre simbologie, come
spirali, stelle, “triplici circonferenze” di diversi colori, decorazioni
vegetali ed anche un “velarium”.
Ma ancora più interessanti sono le smentite e le sconfessioni soprattutto di quegli elementi che hanno fatto a lungo parlare, scatenando dibattiti e sollevando polveroni che per poco non hanno bloccato i lavori di restauro.
I restauratori non hanno infatti trovato
alcuna traccia delle fantomatiche “due teste” che alcuni ricercatori, nel
settembre del 2011, asserirono di aver individuato ai lati di quella principale
del Cristo. Dichiarazione che suscitò molte polemiche.
Parimenti, non vi è alcuna
traccia del “serpente” che, nella primavera del 2009, uno studioso locale
dichiarò di aver scoperto dipinto mentre esce dal labirinto e viene afferrato
dalla mano destra del Cristo.
Vale la pena ricordare che, sin
da subito, io stesso ed altri studiosi come Adriano Forgione, direttore della
rivista “Fenix”, Tommaso Pellegrini e Marco Di Donato, dopo aver analizzato le fotografie
con particolari software e, soprattutto, osservato l’affresco dal vero e da una
distanza ravvicinata, escludemmo la presenza del rettile.
Quei segni, che avevano tratto in
inganno, non sono altro che colpi di spatola per la stesura dell’intonaco su cui
è stato poi affrescato il “Cristo nel Labirinto”.
Ma se il “Cristo trifacciale” (o “tricipite”) ed il “serpente” non avevano mai convinto la stragrande maggioranza degli studiosi ed appassionati, altro discorso vale per l’anello che Cristo sembrava portare all’anulare della mano sinistra. Era talmente evidente, che non vi sembravano dubbi in proposito. Invece, dai restauri, è emerso che quello che sembrava appunto un anello, era semplicemente un distacco dell’intonaco, come ha esaurientemente spiegato lo stesso dottor Salvati.
Tra l’altro, non c’è nemmeno la
mano che “esce dal labirinto”. Anche in questo caso, a trarre in inganno sono
stati i segni sull’intonaco prodotti dalla spatola. Invece, Cristo, con la mano
destra, benedicente con le dita indice ed anulare stese e le altre piegate,
indica proprio l’ingresso del labirinto, mentre con la mano sinistra regge il
Libro delle Sacre Scritture.
Sia il “Cristo trifacciale” che
il sinuoso rettile sono stati utilizzati da diversi ricercatori come prova del
fatto che a realizzare (o far realizzare) l’affresco fossero stati i Cavalieri
Templari, seguendo l’assurdo assioma che, trattandosi di elementi certamente
eretici, non potevano che essere attribuiti ai Templari, dando per scontata una
eresia che non è mai stata provata e che, a mio modesto parere, non è mai
esistita.
L’affresco è assolutamente
canonico, anche se fa riferimento, ovviamente, ad un cristianesimo simbolico
tipicamente medievale (la datazione è stata confermata risalente ad un arco
temporale che va dal XI agli inizi del XIV secolo), certamente ritenuto non
appropriato (ma non eretico) dalla Controriforma e forse per questo si decise
di ricoprire con l’intonaco l’intero ciclo figurativo.
I restauri non sono però riusciti
a chiarire l’enigma della committenza, come non hanno potuto determinare che
cosa fosse, in passato, l’ambiente in cui oggi si trova l’affresco. Non era
certamente un’intercapedine o cunicolo ma, più probabilmente, la parete
terminale di un’ampia sala, forse capitolare, di un monastero. Difficile
pensare ad una navata di una chiesa.
Se la presenza dell’Ordine del
Tempio ad Alatri, pur mancando documenti storici in tal senso, appare molto
probabile, come sembrano confermare diversi indizi, tra cui una inveterata
tradizione locale che indica l’esistenza di un ospizio (oggi scomparso) per i
pellegrini nei pressi della Porta urbica in opera poligonale di San Benedetto,
vicinissima, in linea d’aria, al chiostro di San Francesco, discorso diverso
vale per l’attribuzione della committenza.
Scartate definitivamente le
“suggestioni eretiche”, l’attribuzione all’Ordine, avanzata sin dal 2002 da
Gianfranco Manchìa, all'epoca direttore del Museo Archeologico di Alatri, sul
numero 1 del periodico "Antichità alatrensi", rimane comunque in
piedi, basata sulla presenza nel ciclo affrescato di determinate simbologie,
“Fiori della Vita”, “Spirali”, Triplici Circonferenze”, “Stelle”, riconducibili
anche (e sottolineo, anche) ai Templari.
Questi simboli sono rinvenibili
anche presso chiese e monasteri appartenuti, ad esempio, ai Cistercensi che,
tra i candidati alla paternità del ciclo pittorico simbolico, oltre ai
Templari, fanno buona compagnia ai Francescani, nella cui già citata chiesa,
adiacente al chiostro, sorta nella prima metà del XIII secolo e dedicata al
“Poverello d’Assisi”, si trova l’ormai celebre “croce patente” di colore rosso,
inscritta in una circonferenza, che per la sua effettiva somiglianza a croci
presenti in chiese e siti indubbiamente appartenuti all’Ordine, è ritenuta una
delle “prove” dell’insediamento dei “Cavalieri dai bianchi mantelli” nella
cittadina ernica.
In molti hanno pensato che lo
“zampino” dell’Ordine, nello “strano caso del Cristo nel Labirinto”, potesse
trovare riscontri nella vicenda dei sette labirinti medievali (tutti coevi, è
bene ricordarlo, al periodo di esistenza dei Templari), citati all’inizio di
questo articolo e tutti riconducibili al modello “Alatri-Chartres”.
Si è voluto, anche in questo caso
forzatamente, che i Templari fossero gli autori di questi labirinti sparsi in
giro per l’Italia e l’Europa, quando, soltanto per uno, quello svedese, sul
quale si è investigato personalmente, esistono elementi oggettivi in tal senso
(tra l’altro nella chiesetta duecentesca svedese abbiamo rinvenuto simboli identici
a quelli alatrensi, come il “Fiore della Vita” ed una “Croce patente” rossa dipinta contestualmente ed a pochi centimetri di distanza dal labirinto,
anch’esso verticale, che decora un parete volta a mezzogiorno (proprio come nel
chiostro di San Francesco).
Per gli altri labirinti, di Roma,
Lucca, Pontremoli, Pavia e Chartres, gli autori sono assolutamente ignoti, anche
se, pure in questi casi, sono stati tirati in ballo i Templari.
Ma è bene, per amore di onestà
intellettuale, chiarire subito una cosa. Sebbene i Templari, come gli
altri ordini sia regolari che ospitalieri e cavallereschi, abbiano utilizzato molti
simboli, ad oggi non esiste alcuna prova che abbiano mai realizzato o
commissionato labirinti. In nessun luogo d’Europa o del Mediterraneo.
Per smentire tali asserzioni
viene di frequente citato un labirinto d’erba, oggi scomparso, che si trovava
in località detta Tarry Town, nel villaggio di Temple Cowley, poco distante da
Oxford, in Inghilterra. Non era del modello “Alatri-Chartres”, in quanto aveva
soltanto cinque circonferenze, ma l’attribuzione ai Templari (che si ritrova in
molti libri inglesi sui labirinti), con tanto di affermazione che veniva usato
per riti iniziatici o qualcosa del genere, si basa su un falso clamoroso, per
fortuna categoricamente smentito da Jeff Saward, uno dei massimi esperti
mondiali di labirinti, da me personalmente sentito in merito.
E’ vero che nel villaggio di
Temple Cowley è esistita una ”mansio” templare ma il labirinto in argomento
(che tra l’altro si trovava all’aperto e non in una chiesa o altro edificio
sacro) venne realizzato, quasi certamente, non prima del XVII secolo, quindi ben
dopo la fine dell’Ordine.
Molti dei misteri relativi al “Cristo
nel Labirinto” di Alatri rimangono, per ora, inviolati, anche se le ricerche
stanno continuando e chissà che, a breve, non emergano ulteriori novità.
Ma, al di là degli enigmi svelati
e di quelli che ancora conserva, non dobbiamo scordare che è stata finalmente
restituita a tutta l’Umanità un'opera d’arte unica al mondo, che raffigura
Colui che, a distanza di secoli, è ancora lì ad indicarci la via in mezzo al
labirinto, che rappresenta la vita di tutti i giorni, per aiutarci, per farci
raggiungere la meta, il premio a lungo atteso: la Verità.