di Enzo Valentini
Introduzione
Come è noto, gli insediamenti templari di Terrasanta avevano
una funzione eminentemente militare, essendo finalizzati alla difesa ed al
controllo dei territori conquistati dai Franchi a seguito delle spedizioni
crociate. Il mantenimento di queste fortezze, castelli e casali fortificati,
comprese le guarnigioni che li difendevano, assorbiva ingenti quantità di
denaro, oltre che di cavalli, armi e vettovagliamenti. Per far fronte a queste
spese, l'Ordine aveva creato in Occidente una rete di precettorie capaci di
"produrre" quanto veniva "consumato" in Oriente.
L'Oltremare costituiva quindi la linea combattente, il fronte, mentre l'Europa
rappresentava le retrovie. La precettoria-tipo occidentale aveva la
connotazione di una vera e propria azienda agricola, le cui attività principali
erano la coltivazione e l'allevamento. Era completamente autosufficiente,
mantenendosi con i suoi stessi utili; anzi, in effetti, doveva produrre di più
del necessario, in quanto, come abbiamo visto, le eccedenze servivano per le
esigenze della Terrasanta. I prodotti erano diversi in funzione della zona in
cui era situata, dal momento che i Templari rispettavano le specifiche
caratteristiche dei luoghi: quasi ovunque veniva coltivato il grano e quasi
sempre si allevavano maiali; il sud dell'Italia e le regioni meridionali della
Francia producevano il vino migliore e l'olio più buono, mentre dalla Spagna,
dalla Camargue e dall'altopiano del Larzac provenivano i cavalli più adatti per
il combattimento; forte era anche l'allevamento dei bovini, utilizzati come
forza lavoro, e degli ovini, da cui si ricavavano lana, pelli, latte e
formaggi. Il surplus poteva essere inviato direttamente in natura, come nel
caso di cavalli, grano, olio, vino, oppure trasformato, nelle frequenti fiere
mercantili, in denaro o in beni che la precettoria non era in grado di
produrre, ma che erano di prima necessità, come ad esempio le armi. I Templari
preposti alla conduzione delle precettorie, in genere dei sergenti, erano
sottoposti a frequenti ispezioni da parte dell'Ordine, che controllava la
produzione, le spese effettuate, la contabilità (molto attenta e precisa), i
prodotti in magazzino. In caso di mancanze o di irregolarità il precettore
veniva punito ed immediatamente sostituito; se invece la precettoria si
dimostrava oggettivamente infruttifera o addirittura dispendiosa, si cercava di
venderla o di permutarla, per non appesantire ulteriormente le finanze
dell'Ordine. La natura prevalentemente agricola di queste precettorie viene
documentata dagli interrogatori dei vari processi intentati ai Templari,
durante i quali numerosi fratelli dichiararono di essere dei semplici contadini
e di non sapere nulla di ciò che avveniva all'interno dell'Ordine; ad esempio,
frà Vivolo di Sancto Justino, ascoltato dagli inquisitori il 10 giugno 1310 nel
palazzo vescovile di Viterbo, affermò di essere "vilis conditionis in
dicto Ordine, et ad negotia rustica deputatus" [1] e che "ruralis
homo erat et agricola" [2].
Santa Maria in
Aventino
Quella di Santa Maria
in Aventino era una delle precettorie più importanti d'Italia, soprattutto per
la sua vicinanza alla sede papale, che ne faceva un centro politico di primo
piano. Nonostante ciò, pur non avendo una vocazione agricola, la precettoria
possedeva molti appezzamenti di terreno; situati sia all'interno della cinta
urbana che nelle immediate vicinanze, erano destinati a coltivazioni di vario
genere, in modo principale grano e vite, colture fondamentali nel medioevo
cristiano. Attraverso un inventario giovannita del 1339 [3] è possibile
ricostruire in maniera alquanto fedele il patrimonio fondiario della
precettoria a tale data, presupponendo alcuni beni, qui di seguito elencati, di
derivazione templare [4]. Sono elencate innanzitutto quattro grandi tenute,
tutte situate a grande distanza dalla città:
- la tenuta di Tor
Pagnotta;
- la tenuta di
Sant'Eramo;
- la tenuta di San
Migrano;
- il tenimento di San
Lorenzo di Castel Campanile.
Di questi possedimenti
parleremo diffusamente più avanti. Seguono poi degli appezzamenti di minore
estensione [5]:
- alcuni campi, per 8
rubbia (circa 15 ettari) [6], situati presso le mura civiche a Testaccio [7];
- delle vigne
confinanti con i campi di cui sopra, il fiume Tevere ed il monte Testaccio [8];
- un campo
"vineato" (forse coltivato sia a grano che a vite) per 15 rubbia
(circa 28 ettari), a Testaccio [9];
- delle vigne per 3
rubbia (circa 5,5 ettari), poste presso le mura, fuori Porta San Paolo, tra la
via Ostiense ed il Tevere [10];
- delle vigne, fuori
Porta San Paolo, tra la via Ostiense e la via Appia, con una estensione di 6
rubbia (circa 11 ettari), compresa la vigna Castagnola [11];
- una vigna
circondata da mura presso la chiesa di Santa Maria in Aventino [12];
- un orto vicino alla
suddetta chiesa [13].
Tranne questi due
ultimi appezzamenti, gli altri sopra citati sono situati a cavallo delle mura
cittadine, il cosiddetto recinto Aureliano di origine imperiale, nella parte
meridionale di Roma a non molta distanza dalla precettoria. Il fatto che
fossero accentrati in una zona ben delimitata della città, dimostra come i
Templari cercassero di "raggruppare in insiemi coerenti" [14] le loro
proprietà "di diversa natura e di superficie variabile..., e disperse dal
punto di vista geografico" [15] per evitare un minore rendimento
produttivo ed inutili spese di gestione. C'è da aggiungere inoltre che i primi
tre possedimenti erano situate nella zona di Testaccio, il famoso Monte
Testaccio di memoria imperiale, una montagnola di circa 35 metri costituita dai
rottami delle anfore olearie e vinarie dei vicini magazzini annonari. Questo
luogo "fu meta nel medioevo di processioni e di stazioni religiose, per le
quali forse fin da allora fu sormontato dalla croce" [16] inoltre in
questa zona esistevano, ed esistono tuttora, "delle grotte... che hanno la
proprietà di mantenere freschissimi i vini" [17]. È possibile ritenere
quindi che i Templari, oltre alla valenza religiosa, fossero interessati al
luogo per la possibilità della conservazione della produzione agricola, o di
altre merci deperibili, in attesa del loro trasferimento in Terrasanta; questo
poteva avvenire utilizzando il vicino porto fluviale di Ripa Grande, già
utilizzato in epoca romana, da cui le merci venivano indirizzate allo scalo
marittimo di Ostia e qui imbarcate su navi più adatte alla navigazione d'alto
mare.
Tenuta di Tor Pagnotta
Quella di Tor
Pagnotta, situata tra le vie Laurentina ed Ardeatina, era una tenuta agricola
con un casale fortificato da una torre, della quale sono visibili ormai pochi
ruderi. Nell'inventario già citato [18] viene elencata insieme alle tenute
giovannite di Torre Rossa e Torre di Pandolfo, che oggi formano la tenuta della
Cecchignola-Priorato. Complessivamente aveva una estensione di 224 rubbia
(circa 414 ettari), anche se nell'inventario figura di 294 rubbia, di cui 286
destinate a seminativo ed otto a boschi, prati e pascoli. La tenuta di Tor
Pagnotta era entrata a far parte del patrimonio fondiario dell'Ordine nel 1259
[19]. Il 3 maggio quell'anno, infatti, il maestro d'Italia, Pietro Fernandi,
dietro autorizzazione del gran maestro Thomas Bérard, aveva permutato i
possedimenti che il Tempio aveva nel Lazio meridionale, e cioè: la rocca di San
Felice Circeo, l'enfiteusi su Santa Maria della Sorresca, presso l'attuale
Sabaudia, ed altri beni e terreni in Terracina e nei dintorni [20], ricevendo
in cambio la tenuta di Tor Pagnotta, di proprietà del "Magister Jordano
Sancte Romane Ecclesie vicecancellario et notario". Nel documento di
permuta viene specificato che detto casale era situato nel distretto cittadino,
nella contrada chiamata "Piliocti" che fu dei signori Nicola e
Pietro, figli ed eredi di Pietro Rubei de Ripa, cittadino romano [21]. Vengono
anche indicati i confini della tenuta: il primo lato, con i terreni dei
fratelli Giovanni e Francesco Castellani e Giovanni Colonna; il secondo lato,
con i beni della chiesa di Santa Maria dell'Aventino e con quelli del fu Paolo
di Sant'Angelo; il terzo lato con le proprietà di Santa Maria di Scolagreca e
San Salvatore di Santa Balbina; il quarto lato con la via pubblica [22]. Lo
scambio viene effettuato in considerazione del fatto che le spese per la
custodia ed il mantenimento della rocca di San Felice non portavano alcuna
ultilità, anzi erano divenute troppo onerose e dispendiose; in più la tenuta
era contigua ad altre terre e possessi della precettoria di Santa Maria in
Aventino. I Templari, inoltre, desideravano migliorare la loro posizione,
evidentemente territoriale [23]. Infatti, con questa transazione, i Templari di
Roma, oltre a liberarsi della rocca di San Felice, insediamento economicamente
in perdita, ampliavano in maniera omogenea i loro possedimenti agricoli e
procuravano uno sbocco sulla via pubblica ai terreni già in loro possesso che
confinavano con i nuovi acquisiti. Non sappiamo di quale via pubblica poteva
trattarsi, se la via Laurentina o la via Ardeatina, due antiche strade romane
in mezzo alle quali era situata la tenuta di Tor Pagnotta; entrambe, comunque,
conducevano verso il sud del Lazio, in direzione della tenuta templare di
Sant'Eramo. Il casale di Tor Pagnotta viene citato, negli atti del processo
intentato ai Templari dello Stato Pontificio, dal testimone frà Vivolo di
Sancto Justino, il quale afferma di aver fatto e visto fare elemosine in
numerosi insediamenti del Tempio, tra cui la stessa Tor Pagnotta [24]; il
fratello servente aggiunge anche che nel casale vi furono accolti molti poveri
ed che ogni giorno veniva dato da mangiare a tre di loro. Quest'ultima
affermazione fa presumere che la tenuta non avesse solo ed esclusivamente
vocazione agricola, ma che fosse dotata di locali abitativi, oltre che per i
Templari e per i contadini, anche per i pellegrini ed i poveri che vi potevano
essere ospitati e rifocillati.
Tenuta di Sant'Eramo
La tenuta di
Sant'Eramo corrisponde esattamente a quella denominata successivamente
Maggione, situata nei pressi dell'attuale città di Pomezia; aveva una
estensione di 100 rubbia (circa 185 ettari), di cui 70 destinate a coltivazione
e 30 a bosco [25]. I suoi confini si possono rilevare da due atti di vendita
del 1427 e del 1428 dove è specificato che "i confini che figurano negli
istrumenti sono esattamente quelli di Sant'Eramo... cioè: Pratica...; Santa Procula;
Solfarata; Petronella" [26], Nella testimonianza di frà Vivolo de Sancto
Justino, di cui abbiamo parlato precedentemente a proposito di Tor Pagnotta,
tra gli insediamenti nominati viene elencata anche Sant'Eramo. In un documento
esistente nell'archivio romano di Santa Maria in Via Lata, e risalente al 1330
[27], la tenuta viene chiamata col nome di "Masone", derivato dal
termine mansio, o mansione, con cui venivano in genere indicati gli
insediamenti templari [28]. Purtroppo la zona indicata è stata stravolta da
radicali cambiamenti, soprattutto a partire dagli Anni Trenta (fondazione della
città di Pomezia, dei suoi insedimenti industriali, della nuova viabilità
stradale e ferroviaria) e ciò ha reso difficile la ricerca sul territorio.
Attualmente esiste, ormai inglobato dall'abitato cittadino, un casale chiamato
"Maggiona", che però "non presenta tracce di costruzioni
medievali" [29]. Nel catasto di Alessandro VII (1655/1667) la tenuta
risulta unita a quella della "Maggionetta" dove era situata la torre
omonima; questa viene descritta come "un'alta torre rettangolare di tre
piani con due finestre per ogni piano, alla base si scorgono i resti di quello
che doveva essere un antemurale" [30]. Interessante notare che in località
Solfarata o Zolforata, uno dei confini della tenuta, siano situate delle cave
di zolfo di antiche origini, utilizzate ancora fino a poche decine di anni fa;
ciò fa ritenere che l'estrazione di questo minerale, sia all'interno di
Sant'Eramo che nelle immediate vicinanze, potesse costituire una delle entrate
della tenuta, ad integrazione di quelle derivate dalla coltivazione.
Tenuta di San Migrano
Nel sopracitato
inventario giovannita vengono indicati i confini di questa tenuta: dal primo
confina col Casale Annibaldi, dal secondo col Casale dei Santi Sergio e Bacco,
(il terzo confine è mancante nel manoscritto), col quarto col Casale Nutuli
(non identificabile) una volta di Nicola Benvenuti, dal quinto con Santa Pacora
(non identificabile) [31]. Aveva una estensione di 80 rubbia (circa 148
ettari), di cui 70 destinati a seminativo e 10 a bosco [32]. È difficile
rilevare esattamente la sua collocazione, dal momento che alcuni confini non
sono identificabili; tuttavia il Silvestrelli, in base a documenti di epoca
posteriore, afferma che "il tenimento di san Migrano conviene...
cercarlo... verso l'attuale stazione di Pavona" [33] (a poca distanza da
Albano Laziale). Rimase in possesso degli Ospedalieri per circa un secolo: in
un documento del 1427, infatti, risulta frazionata tra numerosi proprietari
privati, frazionamento che continuò anche negli anni successivi con altri
passaggi di proprietà. All'interno della tenuta era situata la chiesa omonima
di San Migrano, dove il 10 luglio 1310 vennero affisse le citazioni del
processo dal nunzio Giovanni, rettore di Santa Maria della Stella [34]. Di
questa chiesa non si hanno più tracce.
Tenuta di San Lorenzo
di Castel Campanile
Il piccolo borgo di
Castel Campanile è situato su una strada secondaria che, partendo da Palidoro,
unisce la via Aurelia alla via Claudia Braccianese, una strada romana parallela
della via Cassia-Francigena. Dell'abitato non rimangono che poche rovine, al
punto che attualmente la località viene indicata come "Castellaccio".
Il Tommasetti ne dà una descrizione, dicendo che "questo castello doveva
essere fortissimo e grande, poiché occupava tutta l'estensione del banco [di
trachite], come è dimostrato dagli avanzi delle torri e del muro di cinta.
L'ingresso del castello doveva essere nel lato di sud-est, quasi all'estremità
della spianata nel luogo pel quale appunto ora si arriva ad esso; è costruito
parallelamente al castello e sui due lati sorgono due forti muraglie di quasi
otto metri di altezza, in grandi parallelepipedi di trachite" [35]. Nel XV
secolo il castello perse di importanza, forse a causa "della sua posizione
su una strada divenuta secondaria che ne diminuiva l'importanza
strategica" [36]. All'interno di Castel Campanile, i Templari possedevano
la chiesa di San Lorenzo, come dimostrato dalle testimonianze raccolte durante
il processo contro i Templari nello Stato della Chiesa: uno dei testimoni, il
frate servente Gerardo da Piacenza, citando frà Alberto di Castell'Arquato,
precettore di Castellaraldo, disse che questi aveva soggiornato nella chiesa di
San Lorenzo di Castel Campanile appartenente all'Ordine del Tempio [37]. Non
risulta che in questa chiesa vennero affisse le citazioni del processo. Il
Tommasetti fornisce altre informazioni circa questa chiesa, specificando che
"all'estremità settentrionale del castello..., sul lato di sud-est, doveva
sorgere la chiesa nel recinto del castello, ma naturalmente fuori della rocca,
come in tutti i castelli feudali della campagna romana. Della chiesa non rimane
nulla tranne la parte di un muro in parallelepipedi irregolari..." [38].
Dalla chiesa di San Lorenzo dipendeva probabilmente anche la tenuta agricola
omonima, situata nei pressi di Castel Campanile, al confine con il territorio
di Ceri. Come dice il Silvestrelli, "questo fondo non apparisce negli atti
processuali. Ma per analogia cogli altri qui menzionati della casa di Santa
Maria dell'Aventino deve ritenersi che anch'esso pervenne all'Ordine [di San
Giovanni] dai Templari" [39]. La tenuta aveva una estensione di 70 rubbia
seminabili (circa 129 ettari) e, nell'inventario giovannita del 1339, si dice
che il fondo confinava per tre lati con i possedimenti di tale Giovanni Stefani
e per il quarto con il territorio di Ceri [40].
Conclusioni
Alla luce di quanto
suesposto, risulta evidente come Santa Maria in Aventino rappresenti la
struttura tipo di una precettoria del Tempio, con un insediamento principale a
cui facevano capo le mansioni minori di San Migrano, San Lorenzo, Sant'Eramo e
Tor Pagnotta. Tutte erano dotate di alloggi, sia per i fratelli che per i pellegrini
ed i poveri che vi venivano accolti e rifocillati. Le prime due avevano anche
una chiesa al loro interno per i servizi religiosi, sulla falsariga delle
grancie cistercensi; per questa necessità i Templari di Tor Pagnotta
probabilmente si recavano direttamente a Santa Maria in Aventino, mentre quelli
di Sant'Eramo potevano arrivare alla vicina magione di San Migrano. Questi
ultimi forse potevano utilizzare anche l'antica chiesa di Santa Procula, che
però non sappiamo a chi appartenesse. Anche dal punto di vista produttivo e
commerciale, Santa Maria rispettava i canoni imposti dall'Ordine: quasi
sicuramente grazie alle grotte di Monte Testaccio, poteva svolgere in modo
eccellente la funzione di raccolta e conservazione delle merci prodotte dalle
vicine tenute, in attesa di poterle imbarcare al porto di Ripa Grande sul
Tevere in direzione di Ostia e del mare aperto. In conclusione possiamo
affermare che anche lo studio di semplici tenute agricole, che sembrerebbero di
minore importanza ai fini della conoscenza della storia dell'Ordine del Tempio,
in ultimo si dimostra utilissimo per la ricostruzione della vita quotidiana,
delle relazioni tra insediamenti, e per l'analisi della produzione della
ricchezza utilizzata per il mantenimento della struttura militare. Questo
perché senza i semplici fratelli di mestiere ad negotia rustica deputati, i
fratelli cavalieri, i sergenti, i turcopoli e tutti gli altri combattenti non
avrebbero mai potuto svolgere il loro eroico compito della difesa della
Terrasanta.
Note
1) A.Gilmour-Bryson, "The trial of the Templars in the
Papal State and Abruzzi", Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del
Vaticano 1982, p.216.
2) Ibidem, p.222.
3) "Liber prioratus Urbis Ord. S.Johannis Jerosol. an.
1339 (sed 1334)", Cod. Vat. 10372. Pubblicato (per la parte relativa al
Lazio) in G.Silvestrelli, "Le chiese e i feudi dell'Ordine dei Templari e
dell'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme nella Regione Romana",
Rendiconti della R.Accademia dei Lincei, Serie Quinta, vol.XXVI, Tip. dell'Accademia,
Roma 1917, pp.531/539.
4) Silvestrelli, cit., p. 516: "Beni della casa di
S.Maria dell'Aventino, e perciò, come essa, pervenuti all'Ordine dai
Templari".
5) Ibidem, p.518: "Tutti questi beni non figurano, né
avrebbero ragione di figurare negli atti processuali. Ma la loro stessa
vicinanza a S.Maria dell'Aventino mostra all'evidenza che pervennero all'Ordine
di S.Giovanni di Gerusalemme dai Templari".
6) Per il valore del rubbio si è fatto riferimento
all'equivalenza di 1 rubbio = m2 18.484 (1 rubbio = 2 rubbiatelle, 1
rubbiatella = 2 quarte), secondo quanto proposto da A.Cortonesi, "Terre e
signori nel Lazio meridionale-Un'economia rurale nei secoli XIII-XIV",
Liguori Editore, Napoli 1988, p.25.
7) "Liber prioratus..." in Silvestrelli, cit.,
p.535: "Item fines Campi Testaccie, a primo latere via publica; ab alio
sunt muri urbis; que possunt esse rubla VIII".
8) Silvestrelli, cit., p.535: "Item fines vinearum
testatie, a primo latere via que incipit ad arcum VI Vesperis pertinentem ad
portam S.Pauli, ab alio flumen Tiberis et Sancti Jacobi in Nona, ab alio sunt
muri Urbis, ab alio mons Testatie et campum Testatie".
9) Ibidem: "Item quandam petiam vineatam positam in
monte palii, cui undique sunt vie; que possunt esse omnes in sementa XV rubla
grani".
10) Ibidem, pp.535/536: "Item vinee posite in Penna
vetula, a duobus tenet dominus Paulus Magistri Luce, a pede flumen, et a capite
via publica, que possunt [esse] III rubla grani".
11) Ibidem, p.536: "Item vinee posite in Ortis
Prefecti, scilicet ab uno latere via publica, a duobus lateribus Guttarelle, a
pede rivus, ab alio latere Ciminutelli ecclesie S.Georgii; que possunt esse in
semente VI rubla grani, cum vinea Castangiole".
12) Ibidem, p.535: "Item quedam vinea circumdata muris,
posita in parte S.Marie de Aventino".
13) Ibidem, p.536: "Item ortum S.Marie de Aventino
iuxta dictam ecclesiam".
14) A.Demurger, "Vita e morte dell'Ordine dei
Templari", Garzanti, Milano 1987, p.139.
15) Ibidem.
16) "Guida di Roma e dintorni", a cura del T.C.I.,
Milano1977, p.439.
17) Ibidem, p.440.
18) "Liber Prioratus...", citato.
19) "Regesta Chartarum-Documenti dell'Archivio
Caetani", Perugia 1921, p.36, n.1931. Pubblicato anche da T.Bini,
"Dei tempieri e del loro processo in Toscana", Ed. Penne &
Papiri, Latina 1994, pp.21/26.
20) Viene esclusa una casa, posta in Terracina in contrada
Posterula, che l'Ordine decise di tenere per sé. Bini, cit., p.23: "Locum
Sancti Felicis cum omnibus juribus et pertinentiis suis et spetialiter cum
domibus Turri vineis terris cultis et incultis silvis nemoribus pratis pascuis
montibus collibus fontibus aquis acquarum decursibus plagis venationibus
piscationibus honoribus utilitatibus nec non cum tenimento seu Loco aut
quocumque alio nomine censeatur quod dicitur ad Sanctam Mariam de Surresca cum
omnibus aliis terris silvis possessionibus juribus pertinentiis que dictus
Locus S. Felicis et dictum Tenimentum quod dicitur ad Sanctam Mariam de
Surresca habet vel habere debent de jure intus et extra civitatem Terracinensem
et per totum territorium et dioces. Terracinensem et alibi per totam maritimam
etiam extra Territorium predictum excepta solummodo quadam Domo quam dictus
Locus S. Felicis habet intus in civitate Terracinense in loco ubi dicitur
Posterula juxta murum civitatis ejusdem quam predicto Ordini Militie Templi
integre reservavit".
21) Ibidem, p.23: "Casale situm in districta urbis in
contrata que vocatur Piliocti quod fuit Dominorum Nicolai et Petri filiorum et
heredum quondam Petri Rubei de Ripa Civium Romanorum".
22) Ibidem, p.23: "A primo latere possident nobiles
Viri d. Johannes Castellanus et Franciscus fratres et Dominus Johannes de
Columpna. A secundo predicta Ecclesia Sancte Marie de Aventino et heredes
quondam Pauli de S. Angelo. A tertio Ecclesia Sancte Marie de Scolagreca et
Sancti Salvatoris de Sancta Balbina. A quarto est via publica vel qui alii sunt
et considerans quod etiam Casale contiguum est et confine sicut dictum est
aliis terris et Casali dicte Domus S. Marie de Aventino".
23) Ibidem.
24) Gilmour-Bryson, cit, pp.220/221: "deposuit quod
ipse fecit et fieri vidit elemosinas in dicto ordine in... Sancto Heramo, et in
Pingioctis... in qua dabantur elemosine pauperibus ad hostium et dabant
comedere tribus pauperibus omni die; et vidit etiam plures pauperes hospitari
in locis dicti ordinis et iacere...".
25) Silvestrelli, cit., p.535: "quod casale potest esse
in semente LXX rublis et in silvis XXX rubla".
26) Ibidem: "Item fines Casalis Sancti Herami, a primo
latere castrum Solforate, a secundo tenuta que vocatur Peronella, a tertio
tenimentum que (sic) vocatur Puteus Jordanus, que tenuta est de tenimento
Patrice, a quarto Casale S. Pictuli quod est Monasterii S. Pauli...".
27) A.Nibby, "Analisi storico-topografico-antiquaria
della carta de' dintorni di Roma", Tip. delle Belle Arti, Roma 1849, 1837,
vol.II, p.284.
28) L.Imperio, "Metodologia nella ricerca
templare", Ed. Penne & Papiri, Latina 1996, p.4.
29) G.M.De Rossi, "Torri e castelli medievali", De
Luca Ed., Roma 1969, p.58.
30) Ibidem.
31) "Liber prioratus..." in Silvestrelli, cit.,
p.535: "Item fines Casalis Sancti Migrani, a primo latere Casale Anibaldi,
a secundo casale Sanctorum Sergi et Bacchii, a quarto [manca il terzo confine
nel manoscritto] Casale Nutuli olim Nicolay Benvenuti, a V Santa Pacora".
32) Silvestrelli, cit., p.535: "possunt seminari LXX
rubla, et silvis X rubla".
33) Ibidem, p.517.
34) Gilmour-Bryson, cit, pp.233/234: "Iohannes rector
Sancte marie de Stella retulit... se hodie die Xa dicti mensis appendisse seu
affixisse cartam sive membranam continentem publice citationi... in hostis
ecclesie Sancti Migrami dicti ordinis militie Templi".
35) G.Tomassetti, "Campagna romana, antica, medievale,
moderna", a cura del Banco di Roma, Tiferno Grafica, Roma 1975, vol.II,
p.650.
36) A.C.Cenciarini-M.Giaccaglia, "Rocche e castelli del
Lazio", Newton Compton Editori, Roma 1982, p.131.
37) Gilmour-Bryson, cit., p.193: "[Gerardus de
Placentia] dixit tamen et deposuit quod audivi dici a fratre Alberto de Castro
Alquatro de comitatu Placentie dicti ordinis qui morabatur in ecclesia Sancti
Laurentii de Castro Campanilis dicti ordinis, quod...".
38) Tomassetti, cit., vol.II, p.651.
39) Ibidem, p.516, nota 5.
40) "Liber Prioratus...", citato in Silvestrelli,
cit., p.535. altri testi consultati o G.Bordonove, "La vita quotidiana dei
Templari nel XIII secolo", BUR-Rizzoli, Milano 1989. o F.Bramato,
"Storia dell'Ordine dei Templari in Italia-Le fondazioni", Atanòr,
Roma 1991.