“Il Tempio è morto, Viva il Tempio!”
“Il Gran Maestro, quando vide il fuoco pronto, si spogliò senza esitazione. Egli si tolse gli indumenti, esclusa la camicia, lentamente e con aspetto tranquillo, senza affatto tremare, sebbene lo spingessero e lo scuotessero molto. Lo presero per assicurarlo al palo e gli legarono le mani con una corda ma egli disse: “Almeno lasciatemi unire un poco le mani per inviare la mia preghiera a Dio, perchè è giunto il momento. Adesso sto per morire; Dio sa che ciò è torto. Arriverà presto la sfortuna a quelli che ci hanno condannato senza giustizia. Dio vendicherà la nostra morte, muoio con questa convinzione; e voi signore, vi prego, giratemi la testa verso la Vergine Maria, madre di Gesù Cristo”. La sua richiesta fu accolta e la morte lo prese così dolcemente, in questo atteggiamento, che ognuno ne restò meravigliato”.
Questo scrisse Goffredo di Parigi, poeta e cronista, testimone di quel pomeriggio del 18 marzo 1314.
Per la maggior parte degli storici, Jacques de Molay era originario della Borgogna (Franca Contea), figlio di Giovanni di Longwy e di una dama del casato di Raon, nato a Molay (Haute-Saòne) vicino Bourguignon, cantone di Vitrey.
All'età di ventidue anni venne accolto nella casa del Tempio di Beaune e, nell'anno 1292, eletto Maestro Generale. Alcuni sostengono che tale elezione sia avvenuta nel 1293 ma da un documento pubblicato da A. J. Forey si evince che il cavaliere frà Baudouin de Ardan, maresciallo dell'Ordine, era presente a Nicosia (Cipro) il 20 aprile 1292, quando fu stilato un atto con il quale Jacques de Molay, “per la grace Deu humble mastre de la povre chevalerie dou Temple” (per grazia di Dio umile maestro della povera cavalleria del Tempio), concesse a frà Berengario de Cardona, maestro provinciale di Catalogna e Aragona, il permesso di alienare il castello di Puigreig e la casa del Tempio di La Zaida.
Se delle origini dell'ultimo Maestro si sa ben poco, non molto si è scritto della sua attività di fratello templare, forse perchè le ricerche storiche sono state in prevalenza mirate alla ricostruzione degli eventi culminati con la sua morte.
Il 23° Maestro Generale, morendo in quel modo, dimostrò di essere stato all'altezza del suo mandato (durato 22 anni) e del simbolo che incarnava. Spogliandosi degli abiti templari, indicò ai presenti ed ai posteri che l'Ordine non veniva né condannato né dato alle fiamme.
La serenità con cui affrontò la morte è stata quella di un martire, di un santo, di un... Templare. Quella serenità che suscitò lo stupore dei presenti e che, testimoniando una grande forza spirituale, alimentò la credenza nella conoscenza di tecniche capaci, al momento opportuno, di controllare con la mente il corpo.
Il rogo della Senna, insieme al Maestro Jacques de Molay e al Precettore di Normandia Geoffrey de Charnay, arse il sogno stesso dei Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone.
Sono passati 696 anni e quel rogo ancora brucia. Ma non sono le fiamme di vendetta di cui parlano alcuni storici, alimentando la leggenda della maledizione che de Molay avrebbe lanciato contro Filippo IV il Bello e Clemente V suo complice; sono fiamme che, così come lambirono i corpi dei due frati, infiammano ancora i cuori e le menti alla ricerca della verità sui Templari.
N.H. Cav. Luciano Fortunato Sciandra