di Barbara
Frale
Uno degli argomenti che negli ultimi anni ha
scosso con particolare forza la curiosità dei lettori - e di riflesso
solleticato l'interesse degli editori - è quello dei Templari, l'ordine
religioso-militare più potente del medioevo.
L'istituto nacque a Gerusalemme subito dopo la
Prima Crociata da una confraternita di militari laici guidata dal cavaliere
francese Hugues de Payns: erano un gruppo di volontari che avevano scelto di
vivere presso il Santo Sepolcro offrendo la loro abilità di guerrieri per
difendere i pellegrini in viaggio lungo le rotte della Terra Santa, infestate
dai predoni islamici che si gettavano sui convogli e li massacravano. Il re di
Gerusalemme Baldovino II intuì che la confraternita poteva crescere fino a
diventare un vero e proprio corpo militare scelto, prezioso ausilio per
difendere il regno cristiano; esisteva però un grosso problema: nella mentalità
religiosa del tempo il servizio di Dio e la vita consacrata erano visti come
cose incompatibili con il mestiere delle armi. Consapevole che un progetto così
ardito non avrebbe facilmente ottenuto il consenso del Papa, il re di
Gerusalemme fece appello alla personalità spirituale più influente dell'epoca,
un uomo dotato di un'eloquenza incredibile associata a un carisma fuori del
comune: san Bernardo abate di Chiaravalle. Figlio di un famiglia nobile che lo
aveva destinato a essere cavaliere ed ereditare un'esistenza di privilegi,
Bernardo si era fatto monaco benedettino contro la volontà dei suoi genitori,
convinto che la sola vera felicità terrena (oltre alla vita eterna) si
conseguisse nella pace del chiostro. L'abate di Chiaravalle incarnava appieno
l'ideale fondamentale dello spirito monastico, il contemptus mundi, ovvero il
disgusto verso le logiche che muovono la vita mondana, le quali nel primo XII
secolo non erano molto diverse da quelle attuali: la centralità del denaro e
del profitto economico, il potere come strumento per beffare la giustizia, il
ricorso quotidiano a pratiche immorali - quali la vendita delle cariche
religiose, la prostituzione, il tradimento politico - per salire socialmente.
San Bernardo non era solo un teologo, era un
mistico, concetto che forse oggi è impossibile comprendere appieno. Ma proviamo
a fare un esempio: il fedele comune è colui che nelle avversità della vita si
avvicina a Cristo mentre porta il patibolo lungo la via della croce, e su
quella croce si abbandona con tutto il suo peso lasciandosi trasportare come il
naufrago su un tronco verso la riva; il mistico invece si mette sotto il
patibolo insieme a Gesù, e lo aiuta a trasportare il peso della croce con tutti
quelli che vi stanno abbandonati sopra. Fu grazie alla mediazione di san
Bernardo che Papa Onorio II approvò la fondazione dell'ordine templare nel
Concilio di Troyes del 1129: dovette pensare che da un uomo del genere
potessero venire solo frutti buoni.
Lo spirito originale che animava il Tempio era
ispirato a quello del monachesimo benedettino, al principio fondamentale
dell'ora et labora: i Templari infatti prendevano i tre voti monastici di
povertà, obbedienza e castità, dividevano la loro vita fra le preghiere nel
convento e l'attività militare, intesa proprio nel senso di labor (in latino
"fatica, dolore"), dunque un sacrificio offerto a Dio per difendere i
più deboli. Mentre il monaco benedettino di tipo tradizionale spendeva la parte
quotidiana del suo labor coltivando la terra, svolgendo attività artigianali o
ricopiando preziosi manoscritti nello scriptorium del convento, il Templare si
esercitava al combattimento e scendeva in campo quando la campana suonava
l'allarme. A causa della vocazione militare i Templari non potevano essere
consacrati sacerdoti: un'antichissima e severissima proibizione canonica
vietava che le specie eucaristiche potessero essere toccate da persone che
avevano commesso omicidio, seppur per motivi di difesa. Le funzioni, con
l'approvazione di Papa Innocenzo II, furono affidate ai cappellani che, pur
essendo Templari a tutti gli effetti, si occupavano esclusivamente del culto.
Cresciuto a dismisura grazie all'entusiasmo
popolare, come pure al favore dei Papi e dei sovrani di tutta la cristianità,
nel giro di appena cinquant'anni il Tempio divenne un organismo diffuso in
tutto il bacino del Mediterraneo: in Occidente le sue installazioni erano
soprattutto efficientissime fattorie che producevano beni di ogni tipo, i quali
venivano venduti per ricavare denaro da trasferire in Terra Santa e sostenere i
costi della difesa del regno. In sintesi, si potrebbe forse definire una
multinazionale al servizio della crociata. Nel 1307 il re di Francia Filippo IV
il Bello attaccò l'ordine e lo mise sotto processo con l'appoggio
dell'Inquisizione di Francia. L'accusa era quella di eresia: secondo
un'ordinanza d'arresto scritta dal braccio destro del sovrano, lo stesso
giurista Guillaume de Nogaret che aveva partecipato all'attentato di Anagni
contro Papa Bonifacio VIII (1303), i Templari praticavano in segreto riti
pagani e avevano voltato le spalle alla fede cristiana. Grazie a fortunati
ritrovamenti di atti originali conservati presso l'Archivio Segreto Vaticano
oggi sappiamo che la disciplina primitiva del Tempio, il suo spirito autentico,
nel tempo si erano corrotti entrando in decadenza e lasciando aperta la porta
alla diffusione del malcostume; ma i Templari non erano affatto diventati
eretici in massa e il processo fu essenzialmente un mezzo per mettere le mani
sul loro patrimonio, come del resto disse chiaramente Dante Alighieri nel canto
XX del Purgatorio. L'arresto di tutti i Templari di Francia ordinato da Filippo
il Bello era un atto assolutamente illegale perché solo il Papa aveva facoltà
di indagare su un ordine religioso della Chiesa di Roma, quale era appunto
quello del Tempio. Pressato dalle emergenze finanziarie, con il regno di
Francia sull'orlo della bancarotta, Filippo il Bello di fatto ne incamerò i
beni sicuro di poter convincere Papa Clemente V (Bertrand de Got, 1305-1314), a
condannare l'ordine dopo un processo-lampo. Il Pontefice invece reagì con
un'energia inaspettata: dopo ben cinque anni di intense guerre diplomatiche,
ricattato dal sovrano che lo minacciava di aprire uno scisma se si ostinava
ancora a voler salvare i Templari, il Papa soppresse l'ordine senza mai pronunciare
una sentenza e nel Concilio di Vienne del 1312 fece mettere agli atti che il
processo non aveva fatto emergere prove concrete di eresia a loro carico. Il 18
marzo 1314, visto che Clemente V non si decideva a emettere una sentenza sui
capi dell'ordine, Filippo il Bello fece rapire il gran maestro Jacques de Molay
e un altro grande dignitario, il precettore di Normandia Geoffroy de Charny, e
li fece bruciare sul rogo a Parigi, su un'isoletta della Senna. Secondo un
testimone oculare del rogo il maestro poco prima di morire chiamò il sovrano e
il Papa a comparire dinanzi al Tribunale di Dio: poiché Clemente V morì appena
un mese dopo - sfinito da una malattia che lo affliggeva da molto tempo - e
Filippo il Bello nel volgere di un anno - per un incidente di caccia - la
fantasia popolare ricollegò questi due eventi alle parole di Jacques de Molay:
ne nacque la leggenda di una "maledizione" dei Templari che si
sarebbe abbattuta sulla casa reale di Francia, culminata nella morte di re
Luigi XVI sulla ghigliottina durante la Rivoluzione Francese.
Il filone della leggenda da quel momento non si
è mai esaurito, anzi ritorna in auge periodicamente con nuova forza e ogni
volta appare colorato di tinte nuove: ne sono un buon esempio i molti racconti
e libri di fantasia usciti di recente sul tema, fra i quali spiccano i romanzi
d'avventura Il codice Da Vinci di Dan Brown e Il pendolo di Foucault di Umberto
Eco (di ben altro calibro letterario). Sotto le luci della ribalta sta la
figura inquietante del Bafometto, una specie di mostruosa statua metà uomo e
metà caprone che dovrebbe raffigurare l'idolo segreto dei Templari: invece fu
inventato di sana pianta dal gusto neogotico di alcuni collezionisti del primo
Ottocento.
Così accade che gli appassionati, a volte
persino gli storici di mestiere, subiscano il fascino della leggenda templare
dimenticando di guardare con attenzione i documenti, quelli che contengono la
verità. Ignorate per secoli fino al punto di essere credute smarrite, queste
antiche carte tornano alla luce e restituiscono tesori della cultura (ma anche
della spiritualità) che forse nessuno immaginava. Come ad esempio il testo di
una preghiera bellissima, commovente, che alcuni Templari composero durante i
lunghi anni di prigionia nelle carceri di Filippo il Bello. Fu letta durante il
processo, ma gli storici non l'hanno mai valorizzata forse perché essi stessi
sono incuriositi soprattutto dagli aspetti misteriosi, diciamo pure oscuri
della vicenda. È un canto accorato che parla di dolore, interminabili attese,
angoscia ma anche speranza. Fu scritta dai Templari in prigione, ma potrebbe
essere recitata da chiunque si trovi in un momento di sconforto e difficoltà. È
un documento pieno di poesia, e incredibilmente non è mai stato studiato. Ne
riportiamo un passo:
"Santa
Maria, madre di Dio, piissima, gloriosa, santa genitrice di Dio, preziosa e
sempre vergine Maria, salvezza di chi è alla deriva, consolazione di chi spera,
tu che conforti e difendi chi si pente dei suoi peccati, dona a noi consiglio e
difesa; e proteggi l'ordine religioso tuo, che fu fondato dal beato Bernardo
tuo santo confessore con altri uomini buoni della Santa Chiesa di Roma, e
dedicato a te, santissima e gloriosissima. Te imploriamo umilmente, concedi la
libertà per il nostro ordine, con l'intercessione degli angeli, degli
arcangeli, dei profeti, degli evangelisti, degli apostoli, dei martiri, dei
confessori, delle vergini, e nonostante tutte le calunnie rovesciate su di noi
dai bugiardi, come tu sai, i nostri avversari siano ricondotti alla verità e
alla carità, sicché noi possiamo serbare i nostri voti e i comandamenti del
Signore nostro Gesù Cristo tuo figlio, che è difensore, creatore e redentore
nostro, salvatore pieno di misericordia, Dio che vive e regna nei secoli dei
secoli. Amen".
Non c'è da stupirsi se poco più tardi, nel
Concilio di Vienne del 1312, Papa Clemente V farà mettere agli atti che i
Templari non erano eretici; e anche se costretto a chiudere l'ordine per
evitare che Filippo il Bello aprisse uno scisma in seno alla Chiesa cattolica,
chiarì espressamente che l'Ordine del Tempio non poteva essere condannato.
Bafometti e altri mostri a parte, sulla storia dei Templari c'è ancora davvero
tanto da indagare. E lo studio della spiritualità di questo antico ordine
religioso darà alla cultura contemporanea altri notevoli spunti di discussione.
da L'Osservatore
Romano, del 21 agosto
2008