Il cibo che veniva servito sulla tavola templare era
il risultato della produzione interna della precettoria. Solo in particolari
occasioni il precettore poteva fruire della sua borsa per l’acquisto di
alimenti.
In Occidente, l’animale allevato per eccellenza era
il maiale, le cui carni salate o affumicate, venivano conservate per essere
consumate al bisogno. Le specie da cortile, come galline e oche, garantivano
invece carni fresche e uova. Nelle case ubicate in zone montane, i Templari
prediligevano l’allevamento di pecore e capre, dal cui latte preparavano e
stagionavano formaggi destinati sia alla mensa che alla vendita nei mercati.
Come tutti gli ordini monastici, durante il periodo
della Quaresima e dell’Avvento (da Ognissanti a Natale, chiamato “piccola
Quaresima”), gli uomini dell’Ordine si astenevano dal mangiare le carni.
Alimenti importantissimi erano zuppe, polente, pesce
fresco o conservato (sotto sale e affumicato); fu per questo che venne
sviluppata la pescicoltura nelle precettorie lontane da mari, fiumi o laghi.
Il consumo di frutta si limitava a quella che nasceva
spontanea, ad esempio mele, pere, noci o nocciole.
Grazie alle rendite provenienti dalle precettorie d’Occidente,
i fratelli templari d’Oriente potevano mantenere e difendere le case d’Oltremare.
Temibili fortezze sorgevano in punti strategici, sbarrando strade e vallate
essenziali, proteggendo l’entroterra e le sue ricche città. Ognuna di queste
piazzeforti controllava fortificazioni d’importanza minore e centinaia di
casali, con mulini, oliveti, vigne, terreni e foreste di cedri.
Nella dieta dei Templari si riscontravano differenze
rilevanti tra le precettorie occidentali e quelle orientali. I monaci guerrieri
si nutrivano di carne, pesce e verdure, come in Europa, mentre i condimenti
prevedevano, oltre alle spezie, anche le salse locali.
In Oltremare venivano privilegiate le carni di
montone, pecora, capra e degli animali da cortile. Il maiale era consumato
raramente, probabilmente a causa del clima, ma anche per il rispetto delle
usanze locali arabe, per la cui religione era proibito. Estesi oliveti
producevano olio in quantità, le vigne davano ottimo vino. Per dolcificare, i
Templari d’Oriente non utilizzavano solo il miele ma anche la canna da
zucchero. Il pane veniva confezionato sia in forme lievitate che schiacciate, e
poiché la Palestina garantiva una grande quantità di frumento, lo si preparava
sopratutto con questo cereale e non, come in Occidente, con segale o altre
granaglie.
La dieta dei cavalieri prevedeva legumi come ceci,
lenticchie, piselli, fagioli. Gli ortaggi più diffusi erano cetrioli, asparagi,
carciofi, melanzane, spinaci, aglio, cipolla. Rinomato era lo scalogno, così
chiamato per il nome della località palestinese di Ascalon dove sembra ebbe
origine.
Sempre in Oltremare, i Templari potevano disporre di
un’abbondante varietà di frutti, alcuni semisconosciuti in Occidente, come
limoni, cedri, arance amare e banane. Albicocche, datteri e fichi trovavano
impiego sia freschi che secchi, in forme simili a focacce.
Vino e birra erano le bevande più consumate e potevano essere
aromatizzate con anice o rosmarino. Il vino veniva anche bollito e speziato con
cannella, chiodi di garofano o con l’aggiunta di miele. L’espressione “bere
come un Templare” non corrispondeva ad un comportamento reale, perché l’ubriachezza
nell’Ordine non era tollerata e veniva punita molto severamente, anche con l’espulsione.
Tuttavia, il vino era importantissimo, perché
indispensabile nelle funzioni religiose. Ogni precettoria aveva l’obiettivo di
essere autosufficiente e perciò, quasi dappertutto, si cercava di produrne.
Come accadeva anche per gli altri ordini monastici, i documenti testimoniano l’esistenza
di numerosi vigneti posseduti dall’Ordine, in terre non sempre lavorate
direttamente ma anche affidate a contadini del posto.
In mancanza di vigneti, pur di mantenere una certa autonomia
produttiva, ci si dedicava alla preparazione d’altre bevande. Ad esempio, nella
precettoria inglese di Cowton, vi era un apposito locale per la fabbricazione
della birra, consumata soprattutto nel nord Europa, per le ovvie condizioni
climatiche che rendevano troppo complessa la produzione del vino.