11 febbraio 2017

La dieta dei Templari


Il cibo che veniva servito sulla tavola templare era il risultato della produzione interna della precettoria. Solo in particolari occasioni il precettore poteva fruire della sua borsa per l’acquisto di alimenti.
In Occidente, l’animale allevato per eccellenza era il maiale, le cui carni salate o affumicate, venivano conservate per essere consumate al bisogno. Le specie da cortile, come galline e oche, garantivano invece carni fresche e uova. Nelle case ubicate in zone montane, i Templari prediligevano l’allevamento di pecore e capre, dal cui latte preparavano e stagionavano formaggi destinati sia alla mensa che alla vendita nei mercati.
Come tutti gli ordini monastici, durante il periodo della Quaresima e dell’Avvento (da Ognissanti a Natale, chiamato “piccola Quaresima”), gli uomini dell’Ordine si astenevano dal mangiare le carni.
Alimenti importantissimi erano zuppe, polente, pesce fresco o conservato (sotto sale e affumicato); fu per questo che venne sviluppata la pescicoltura nelle precettorie lontane da mari, fiumi o laghi.
Il consumo di frutta si limitava a quella che nasceva spontanea, ad esempio mele, pere, noci o nocciole.
Grazie alle rendite provenienti dalle precettorie d’Occidente, i fratelli templari d’Oriente potevano mantenere e difendere le case d’Oltremare. Temibili fortezze sorgevano in punti strategici, sbarrando strade e vallate essenziali, proteggendo l’entroterra e le sue ricche città. Ognuna di queste piazzeforti controllava fortificazioni d’importanza minore e centinaia di casali, con mulini, oliveti, vigne, terreni e foreste di cedri.
Nella dieta dei Templari si riscontravano differenze rilevanti tra le precettorie occidentali e quelle orientali. I monaci guerrieri si nutrivano di carne, pesce e verdure, come in Europa, mentre i condimenti prevedevano, oltre alle spezie, anche le salse locali.
In Oltremare venivano privilegiate le carni di montone, pecora, capra e degli animali da cortile. Il maiale era consumato raramente, probabilmente a causa del clima, ma anche per il rispetto delle usanze locali arabe, per la cui religione era proibito. Estesi oliveti producevano olio in quantità, le vigne davano ottimo vino. Per dolcificare, i Templari d’Oriente non utilizzavano solo il miele ma anche la canna da zucchero. Il pane veniva confezionato sia in forme lievitate che schiacciate, e poiché la Palestina garantiva una grande quantità di frumento, lo si preparava sopratutto con questo cereale e non, come in Occidente, con segale o altre granaglie.
La dieta dei cavalieri prevedeva legumi come ceci, lenticchie, piselli, fagioli. Gli ortaggi più diffusi erano cetrioli, asparagi, carciofi, melanzane, spinaci, aglio, cipolla. Rinomato era lo scalogno, così chiamato per il nome della località palestinese di Ascalon dove sembra ebbe origine.
Sempre in Oltremare, i Templari potevano disporre di un’abbondante varietà di frutti, alcuni semisconosciuti in Occidente, come limoni, cedri, arance amare e banane. Albicocche, datteri e fichi trovavano impiego sia freschi che secchi, in forme simili a focacce.
Vino e birra erano le bevande più consumate e potevano essere aromatizzate con anice o rosmarino. Il vino veniva anche bollito e speziato con cannella, chiodi di garofano o con l’aggiunta di miele. L’espressione “bere come un Templare” non corrispondeva ad un comportamento reale, perché l’ubriachezza nell’Ordine non era tollerata e veniva punita molto severamente, anche con l’espulsione.
Tuttavia, il vino era importantissimo, perché indispensabile nelle funzioni religiose. Ogni precettoria aveva l’obiettivo di essere autosufficiente e perciò, quasi dappertutto, si cercava di produrne. Come accadeva anche per gli altri ordini monastici, i documenti testimoniano l’esistenza di numerosi vigneti posseduti dall’Ordine, in terre non sempre lavorate direttamente ma anche affidate a contadini del posto.
In mancanza di vigneti, pur di mantenere una certa autonomia produttiva, ci si dedicava alla preparazione d’altre bevande. Ad esempio, nella precettoria inglese di Cowton, vi era un apposito locale per la fabbricazione della birra, consumata soprattutto nel nord Europa, per le ovvie condizioni climatiche che rendevano troppo complessa la produzione del vino.