4 dicembre 2009

I Templari in Italia



Non si sa con precisione quando l’Ordine del Tempio si insediò in Italia. Gli storici sono discordi: chi ritiene quale primo insediamento italiano Messina nel 1131, chi S. Maria dell’Aventino a Roma nel 1138, chi S. Maria del Tempio in Milano nel 1134.

Comunque, si può dire che intorno al 1130 ebbe inizio l’espansione dell’Ordine nella nostra penisola.

Fedeli al loro voto di proteggere i pellegrini e i luoghi santi, i Templari costruirono precettorie e magioni lungo gli itinerari medievali più frequentati dai pellegrini e dalle armate crociate che transitavano per l’Italia e raggiungevano gli imbarchi per la Terrasanta.

Li troviamo, dunque, sulle grandi arterie consolari romane, allora ancora in uso: la Francigena o Romea con le sue diramazioni, che dalla Francia raggiungeva Roma, ricalcando tratti della Cassia, dell’Emilia, ecc.; la litorale Aurelia, che arrivava anch’essa a Roma; l’Ongaresca, che in alcuni punti sfruttava la Claudia Augusta e le strade del Norico; l’Appia, che conduceva all’importantissimo porto crociato di Brindisi. Merita una menzione particolare la Postumia, sia per l’alto numero di insediamenti templari su di essa stanziati, sia per una sua importante caratteristica, quella di essere la sola strada che, attraversando l'Italia settentrionale da ovest ad est, consentiva di raggiungere i porti d'imbarco, e di proseguire il viaggio via terra, lungo la penisola balcanica fino a Gerusalemme.

L’Ordine aveva diviso il territorio italiano in due province templari: l’Italia (più spesso denominata semplicemente Lombardia), che comprendeva le regioni centro settentrionali e la Sardegna, e la Puglia, che comprendeva le regioni meridionali e la Sicilia.

Ogni provincia aveva un maestro, dal quale dipendevano numerosi precettori delle case templari. Talune precettorie erano delle vere e proprie fortezze. In tali case il precettore aveva il titolo di comandante e sotto di lui militavano non solo cavalieri e sergenti templari, ma anche cavalieri ausiliari laici. In diversi casi i Templari furono preposti dal papa, o da autorità civili, al comando di fortezze. Il castello di Monte Cocozzone, nei pressi di Civitavecchia, fu comandato per circa vent’anni da frate Paolo della Milizia del Tempio.

L’importanza delle case italiane era legata soprattutto a due fattori: la posizione geografica rispetto alle terre crociate e la presenza del papa sul territorio nazionale.

La posizione geografica della penisola italiana era quanto mai invidiabile, tenendo conto in primo luogo dei molti porti e, come già accennato, del notevole sviluppo della viabilità, che consentiva di limitare al minimo il pericoloso tragitto via mare.

La vicinanza della Sede Apostolica favoriva l’Ordine, che beneficiava di donazioni e di privilegi; inoltre, la stima e la considerazione del pontefice davano lustro e potere ai Templari. Essi avevano notevoli insediamenti nei porti di Venezia, Genova, Pisa, Brindisi, Messina, Civitavecchia, eccetera. Altre sedi prestigiose erano quelle situate in zone strategicamente importanti (Asti, Milano, Treviso, Verona, Moncalieri, Osimo), o poste su grossi incroci stradali (Bologna, Piacenza, Perugia, Matera, Potenza).

Santa Maria dell’Aventino in Roma, data la sua vicinanza alla sede papale, era il centro strategico-politico dell Ordine in Italia, sebbene alcuni storici siano più propensi a considerare di maggiore importanza il complesso templare di Bologna, dove si svolsero numerosi capitoli italiani. Come nel resto d’Europa, anche da noi i Templari erano suddivisi in: cavalieri (nobili), fratelli d’arme o sergenti (liberi), fratelli di mestiere o serventi (liberi o affrancati) e cappellani. Gli schiavi facevano parte del bottino di guerra, ma venivano impiegati nel solo Regno di Gerusalemme e nella penisola iberica.

Ogni precettoria o magione era amministrata in modo da essere, non solo autosufficiente, ma tale da produrre un soprappiù in derrate alimentari, denaro e bestiame da mandare ai fratelli combattenti.

Il reclutamento della milizia templare (combattenti e non) era in genere locale, anche se spesso alcuni elementi venivano inviati, a seconda delle necessità, presso altre precettorie o in altre province. Nel Regno di Sicilia vi erano molti cavalieri francesi, soprattutto negli incarichi di responsabilità. Lo stesso Guillaume de Beaujeu, prima di diventare Gran Maestro dell’Ordine, era stato precettore delle regioni meridionali. I Templari italiani, nei due secoli di vita dell’Ordine (1119-1312), ricoprirono importanti ruoli sia ecclesiastici che politici. Alti dignitari ebbero prestigiosi incarichi presso la Santa Sede. Furono «cubiculari», «ostiari», tutte mansioni di fiducia attinenti alla persona del pontefice, ambasciatori della Santa Sede presso altre potenze straniere, custodi di tregue, esattori per conto del papato della decima saladina (la tassa della crociata) e delle altre decime ecclesiastiche.

Anche i nobili feudatari e le libere repubbliche marinare si servirono di templari come ambasciatori, tesorieri, depositari di ingenti somme di denaro, di preziosi e perfino di sacre reliquie. Molto spesso erano chiamati come garanti nell’esecuzione di lasciti testamentari. I Templari italiani instaurarono ottimi rapporti con i liberi comuni del settentrione, tanto da essere chiamati a ricoprire cariche pubbliche, quali podestà e consiglieri comunali. Si cita, come esempio, fra’ Rolando Bergognino, precettore delle case del Tempio di S. Egidio di Testona (poi Moncalieri), di S. Martino della Gorra, di S. Margherita di Torino e di S. Leonardo di Chieri, il quale fu eletto podestà del comune di Savigliano (Cuneo).

Dagli insediamenti del regno latino di Gerusalemme e dal contatto con civiltà più progredite, come l’araba e la persiana, i Templari portarono nelle loro case europee nuove conoscenze ed una disponibilità a trattare con popoli di culture e religioni diverse. La complessità delle loro operazioni finanziarie ed il potenziamento delle attività minerarie, insolite a quell’epoca, ci inducono a pensare che utilizzassero sia la matematica che la chimica, apprese dagli Arabi. A questo proposito giova ricordare che, con tutta probabilità, l’Ordine iniziò lo sfruttamento delle miniere di allume sui Monti della Tolfa, nel Lazio. Anche sulle Colline Metallifere, in Toscana, si ricorda l’esistenza della casa templare di Frosini, presso Montesiepi.

L’influsso dei disegni geometrici delle moschee arabe è ben visibile negli affreschi della chiesa templare di S. Bevignate, in Perugia, ed in alcuni tratti del portico della chiesa di Tempio di Ormelle di Oderzo.

I Templari contribuirono alla manutenzione di strade e ponti e diedero con la loro flotta impulso ai commerci e alla marineria. Buona parte delle navi dell'Ordine, in servizio sulle rotte dell'Adriatico meridionale, svernava nel porto di Brindisi, dove venivano calatafate e rimesse in sesto per riprendere il mare con i convogli di primavera. Nel nord Adriatico la flotta templare sfruttava i porti della Repubblica di Venezia.

Per quanti si posero sotto la loro protezione, l'Ordine del Tempio fu garanzia di sicurezza e di giustizia, ed al suo riparo essi prosperarono. Quando la persecuzione si abbatté sui suoi membri, nel 1308, anche i vescovi italiani ebbero l’ordine dal Papa di istruire dei processi inquisitoriali, ma ben pochi furono gli arresti.

In Italia esistono i documenti degli interrogatori che ebbero luogo nella primavera del 1310 negli Stati della Chiesa (Viterbo, Penne, Chieti, Palombara Sabina) e nel regno di Sicilia (Brindisi).

Il processo più straordinario fu quello presieduto dall’inquisitore Rinaldo da Concorezzo, arcivescovo di Ravenna, nel 1311, che esaminò diversi cavalieri delle precettorie di Bologna e di Piacenza, trattandoli con giustizia ed equità e assolvendoli tutti perché risultati innocenti. Questo fu l’unico processo in cui in Italia non fu usata la tortura. A nulla valsero le invettive e le pressioni del papa, Rinaldo fu irremovibile, e la sua fu l’unica voce ecclesiastica che osò sfidare Clemente V, assolvendo un ordine che era stato, finché visse, il baluardo della cristianità e del papato.

Il pontefice, non soddisfatto dell’andamento dei processi italiani, pretese nuovi interrogatori, imponendo agli arcivescovi inquisitori l’uso della tortura. Rinaldo da Concorezzo rifiutò di nuovo, invece gli inquisitori della Toscana accettarono. In questo nuovo processo, svoltosi a Firenze e a Lucca nel 1312, i Templari confessarono sotto tortura ogni peccato loro imputato nei 127 articoli d’accusa.


Da “Guida all'Italia dei Templari”
di B. Capone, L. Imperio, E. Valentini
Edizioni Mediterranee