18 marzo 2023

18 marzo 1314

 


De Iacobo, magistro Templariorum

Ma a nulla servendo la tortura, furono portati, eccetto il maestro e tre altri compagni, a essere bruciati se fossero rimasti fermi nell'ostinazione di non voler confessare i delitti.

Questi tali sì come erano di sangue illustre cosi anco erano d'età fiorita e di fortezza d'animo valorosi; perciocché, dopo lunga ma superficiale indagine, essendo per ordine del re legati uno per uno ad un palo e cinti d'ogni intorno di legna, e innanzi ai loro occhi stando il fuoco e i camefici; per quanto dalla voce di un araldo fosse promesso che, se confermavano le cose a loro opposte, avrebbero salva la vita e restituita la libertà, non fu alcuno·di loro che volesse, lasciandosi persuadere dalle lacrime e dalle preghiere degli amici e dei congiunti, cedere all'irato re e perdonare, confessando, alla propria vita piuttosto che con sì fiera ostinazione lasciarsi morire.

Onde, avendo quelli più volte tutti d'accordo confermato ciò che tante volte avevano detto, alla fine i tormentatori ad uno per uno strapparono col fuoco le unghie dei piedi e poi lentamente per tutto il corpo pian piano li abbruciavano. Il qual tormento con·quanto dolore dagl'infelici fosse sopportato, ne facevano fede·agli astanti le loro urla terribili, né altro dicevano eccetto che erano veri cristiani e che la loro religione era stata e era santissima.

Così lasciarono consumare i tormentati corpi fino all'ultimo respiro, né alcuno di quelli fu che per lo tormento si lasciasse vincere né rimuovere dal suo proposito. Direi questi con cosi animosa e intiera fortezza aver vinto la perfidia dell'avaro re, se col loro morire non fossero andati là dove il fiero appetito di lui desiderava.

Benché a quelli non sia stata minor gloria se con dritto giudicio scelsero piuttosto di morire tra i tormenti, che voler confermare quello che non era vero, e macchiare la giustamente acquistata fama con la confessione della vergognosa colpevolezza.

Questi adunque furono i primi colpi della Fortuna contra l'abbassato Iacopo. Il quale, essendo afflitto dalla noia della continua prigione, menato a Lione e da diverse esortazioni persuaso, confessò a papa Clemente alcuno dei delitti de' quali era stato incolpato. Laonde, rimenato a Parigi, e leggendosi dinanzi a due cardinali assistenti e al re la sentenza, per la quale si sanzionava la sua liberazione e la condanna del suo Ordine, egli, insieme con uno dei suoi compagni, ch'era fratello del Delfino di Vienne, domandò ad alta voce che si tacesse.

Onde, fatto il silenzio e tutto il popolo intorno ascoltando, confermarono innanzi a tutti e protestarono santissimamente ch'erano degni di morire, non perché avessero commesso alcuna delle cose di cui erano incolpati, ma perché ingannati da una condannevole suggestione e sedotti dalle persuasioni del re e del sommo pontefice si erano lasciati indurre, per brama colpevole di peritura fama, prima a confessare quelle cose in vergogna e tradimento del loro celebre Ordine tanto cospicuo per sacra religiosità, provato dalla rigida osservanza degli appartenenti, e poi ad ingannare tanti uomini insigni, tanti forti commilitoni, tanti amici, tanti fratelli, morti bruciati prima di loro in nome della verità.

Di qui seguì la sentenza fiera e iniqua alla ruina dei Templari; e Iacopo col fratello del Delfino (lasciati in vergognosa vita gli altri due compagni) fu condotto all'istesso supplizio che soffersero gli altri. Il quale ambedue con intrepido e costante cuore in presenza del re sopportarono, né niente altro mai dissero, finché a loro bastarono i forti spiriti, eccetto quanto gli altri che prima erano morti. Cosi colui che poco innanzi col suo splendore poté suscitare l'invidia di cosi gran re, per un fiero colpo della Fortuna divenuto cenere, costrinse anco gli infelici ad avergli compassione.

Cosi diceva Boccaccio, padre mio, che allora a Parigi con onesta fatica procurava come commerciante di aumentare le proprie risorse, e assicurava di aver assistito a quei fatti.


Giovanni Boccaccio, De casibus virorum illustrium, Liber IX - c. XXI

IX volume della collana "Tutte le opere di Giovanni Boccaccio", a cura di Vittore Branca, Mondadori, Milano 1964-1998, contenente: "De casibus virorum illustrium" (a cura di P. G. Ricci e V. Zaccaria)